Da quando l’uomo vive in gruppo è stato vittima di malattie infettive. Le cronache storiche segnalano epidemie di vaiolo, di colera, l’influenza spagnola per finire alla pandemia del Corona virus del 2019. La più tremenda delle malattie infettive almeno finora, è stata la peste.
Nel secolo XVII era appena finita l’epidemia della peste del 1630 in Lombardia, che nel 1656 riapparve nel Vicereame spagnolo di Napoli.
Napoli era una delle città più popolate d’Europa, con più di 450.00 abitanti e una densità altissima. In concomitanza della peste di Milano nel 1631 ci fu una grande eruzione del Vesuvio che non contribuì a migliorare la situazione, facendo affluire nella città partenopea circa 40.000 sfollati dalle zone circostanti. La città non possedeva ancora un adeguato sistema fognario di acquedotti. Si viveva in precarie condizioni igieniche unite ad altri fattori quali la scarsa e cattiva alimentazione nonché la grande quantità di animali che vivevano in promiscuità con i napoletani.
La peste da Valenza ( Spagna ) sbarca a Napoli
Fra la peste del 1630 a Milano e quella del 1656, a Napoli nel 1647 c’era stata la rivoluzione di Masaniello.
Nello stesso periodo in cui Masaniello dava inizio alla sua rivolta, a Valenza in Spagna cominciarono a morire improvvisamente dei calzolai sui cui cadaveri erano evidenti lividi e bubboni che furono riconosciuti per sintomi inequivocabili della peste. In quattro mesi morirono più di 20.000 persone, vale a dire circa la metà della popolazione di Valenza. Nel 1650 la peste da Valenza al seguito delle milizie spagnole, arrivò in Sardegna e l’Isola fu subito messa in quarantena. Ma fu una quarantena molto elastica con gravi conseguenze per tutti.
La Spagna allora era impegnata con la guerra in Lombardia contro il duca di Modena e raccoglieva soldati da tutti i suoi possedimenti specialmente da quelli stanziati in Sardegna per poi trasferirli sui campi di battaglia. Solo il porto di Napoli era quello maggiormente attrezzato al trasferimento delle truppe, disponendo di numerose e veloci navi per condurre le milizie nei porti della Liguria. Il viceré, che aveva proibito ogni sbarco dalla Sardegna, autorizzò lo sbarco dei soldati, violando le sue stesse disposizioni, ma poiché l’ epidemia non era conclamata e le pressioni da Madrid erano forti, si minimizzò il pericolo. Ma il 12 agosto del 1654 ci fu una quasi completa eclissi del sole e i preti si misero a gridare che questo fenomeno annunciava l’imminente castigo di Dio contro tutti i peccatori perchè la peste era una punizione divina per la rivolta intentata da Masaniello e dal popolo contro il re cattolico.
Il 1656 comincio tranquillamente tanto è vero che quell’anno, dimentichi di tutti di tutto, ci fu il miglior carnevale dell’ultimi anni. Ma alla fine il morbo sbarcò a Napoli. Come leggenda metropolitana si raccontava che un ufficiale ritornato a Napoli dalla Spagna facendo tappa in Sardegna, un certo Masone, essendosi sentito improvvisamente male e portato nell’ospedale dell’Annunziata, era morto in due giorni tutto coperto di lividi e di bubboni. Un congiunto che avrebbe assistito il Masone, morì a casa sua dopo 24 ore nel quartiere del Lavinaio, nei pressi del mercato. Inoltre i funzionari spagnoli che in quel periodo facevano, per fini fiscali, il censimento dei “fuochi”, cioè delle famiglie, notarono che nel quartiere del Lavinaio, i morti erano aumentati in maniera strana. Alla Quaresima l’animo dei napoletani era già mutato perché l’ inspiegabile aumento della mortalità non si fermava, anzi da quel quartiere si spandeva a quelli limitrofi.
I porci di Sant’Antonio Abate portati fuori città
Il viceré, allora per combattere un imprecisato “morbo corrente” in via precauzionale prescrisse di bruciare le suppellettili degli ammalati, togliere l’immondizia dalle strade e portare gli animali fuori città e ci volle un grande coraggio nello stabilire questo, perché allora i monaci di Sant’Antonio Abate possedevano grandi mandrie di porci i quali in virtù della immunità ecclesiastica concessa all’ abate di Sant Antuono, cardinale Barberini, vagavano liberi per tutte le strade della città ricevendo del cibo come atto di devozione del popolo ed erano abbracciati e venerati un po’ come le vacche sacre in India.
Gli untori francesi
Nello stesso periodo i francesi erano tornati a Napoli per cercare di riappropriarsene e si erano fermati a Castellammare in attesa di poter agire. Per sviare l’attenzione la colpa dei decessi fu data ai francesi che spargevano il veleno dappertutto: nell’acqua, nei pozzi, sulle monete e sui banchi delle chiese. Allora bastava avere un accento forestiero o un vestito che sembrava tale per passare i guai, dalle semplici bastonate al libero linciaggio. Insomma cose già descritte nei Promessi Sposi.
Dopo 4 mesi le Autorità ed popolo ancora non volevano arrendersi all’evidenza, ma con l’approssimarsi della stagione estiva i decessi aumentavano smisuratamente e a maggio il viceré dovette dichiarare ufficialmente l’esistenza della peste. Ma invano si cercò di abolire le cerimonie religiose e le processioni, così l’infezione assumeva dimensioni sempre più grandi.
Il DPCM del Viceré ed il Green Pass
Il 16 giugno 1656 furono adottate le prime prescrizioni ufficiali contro la peste.
Per prima cosa bisognava porre sopra ogni porta della città l’immagine della Madonna con il Bambino, sotto San Gennaro, a destra S. Francesco Saverio e a sinistra Santa Rosalia.
In campo più strettamente sanitario fu stabilito:
- La chiusura dell’abitazione in cui ci fosse un appestato e messa sotto sorveglianza dall’esterno
- I parenti dei defunti dovevano rimanere chiusi in casa in quarantena. Ai beni di prima necessità avrebbero provveduto la municipalità
- Bruciare tutte le suppellettili e gli abiti degli appestati
- Portare gli ammalati nei lazzaretti approntati fuori le mura per evitare il contatto con il resto della popolazione
- Proibito seppellire dentro le Chiese.
- Introduzione del green pass che nessuno osava osteggiare, ma che tutti si attrezzavano ad aggirarlo. La delibera della Deputazione della Sanità del 23 maggio del 1656, anteriore a questa ordinava alle guardie delle porte cittadine di “non ammettere persone alcuna di una terra all’altra se non portano i soliti bollettini di salute”, una sorta di Green Pass.
I medici e gli infermieri andavano in giro vestiti con un camicione incerato, sui viso una maschera alla pulcinella nel cui naso c’erano delle erbe medicamentose e avevano una specie di occhialoni. Portavano una lungo bastone per poter tastare i malati a distanza.
Di sera per le strade della città venivano bruciati rami di alloro e rosmarino e grani di incenso per disinfettare l’aria.
Anche i frati ed i preti dettero prova di abnegazione con la loro opera, riscattandosi dalla preventiva azione di demonizzazione e anche qui molti di loro morirono sul campo.
In poco tempo si arrivò al punto che mancarono i mezzi per raccogliere i cadaveri, nessuno voleva farlo e poi non si sapeva dove seppellirli.
Il vicerè mobilitò i soldati spagnoli per scavare delle fosse comuni fuori città e portarvi i cadaveri prelevati dalle case. Ciò dette la stura ad altri abusi da parte della soldataglia, furti estorsioni, ricatti. L’eletto del popolo della deputazione della Sanità, tale Felice Basile, riuscì a far requisire tutte le carrette della città e con l’aiuto di volontari ripulì le strade buttando i corpi in una immensa grotta detta dei Pipistrelli (Sportiglioni in napoletano) e poi nelle altre di cui Napoli sotterranea ne è piena. Oggi i resti di quei poveretti si possono ancora visitare, nel famoso “ Cimitero delle fontanelle”. A luglio l’epidemia raggiunse il punto più alto.
Il 15 Agosto, festa dell’Assunta, la peste frena
Dal caldo torrido di luglio, il tempo ad agosto divenne improvvisamente tempestoso diluviando a dirotto fino al 14 agosto. Le strade di Napoli divennero delle fiumare che trascinavano tutto a mare dalle falde del Vesuvio in giù, la più colossale opera di disinfestazione mai effettuata.
Il 15 agosto, giorno dell’Assunta la peste cominciò a frenare, i contagi a diminuire e gli ammalati a guarire. Scoppiò subito una guerra a chi attribuire questo miracolo. La maggioranza era per la Madonna Assunta, ma c’erano anche nutrite schiere che propendevano anche per San Gaetano che si festeggia il 7 di agosto, a San Francesco Saverio e San Gennaro.
Il trend si mantenne in discesa costante fino a che il giorno 8 dicembre festa dell’Immacolata, Napoli fu dichiarata libera dalla pestilenza. La peste aveva provocato circa 200 000 morti; anche nel resto del regno il tasso di mortalità fu altissimo. Alcuni villaggi furono completamente distrutti.
Il fotoreporter di questa calamità, fu il pittore Micco Spadaro, al secolo Domenico Gargiulo (Napoli, 1609/1612 – 1675), famoso soprattutto per aver documentato i tumultuosi avvenimenti della Napoli del XVII secolo (l’eruzione del Vesuvio , la rivolta di Masaniello e la peste).
Per una conoscenza più dettagliata di questa peste si consiglia di leggere Salvatore De Renzi “ Napoli nell’anno 1656” Tip. De Pascale Napoli – 1867, che è stata una delle fonti primaria da cui sono tratte queste note – reperibile su Google Book.