Il Riscatto baronale di Torre del Greco

Le feste sono la celebrazione di un evento eccezionale per mantenerne vivo il ricordo. Col tempo i fatti sfumano, assumono dimensioni diverse, tutto si sposta sull’aspetto ludico, quando addirittura non vengono soppresse.

Ecco perché è stato un fatte rilevante questa festa. Mentre tutti gli altri popoli vanno alla ricerca delle loro radici, noi invece le vogliamo cancellare. E’ vero che le motivazioni sono tante, ma non tutte plausibili.

Sicuramente tutti quanti abbiamo se non letto, almeno visto al cinema o in televisione i Promessi Sposi, quindi si ha un’idea dell’ambiente, dei costumi, come spadroneggiavano i nobili feudatari. Insomma, le figure di Don Rodrigo e dei suoi “bravi”, degli stenti del popolo ci sono familiari. Siamo nel milleseicento in pieno dominio spagnolo sia a Milano che a Napoli.

Torre del Greco nel 1600 era un feudo, con una forte potenzialità agricola e marittima, ma era strozzata nella sua crescita economica dalla feudalità.

Quando nel 1698 Nicola Maria Carafa, Principe di Stigliano, l’ultimo Capitano di Torre morì senza lasciar eredi, i casali di Torre, Portici, Resina e S. Giorgio a Cremano, passarono al demanio pubblico che il 14 aprile 1698 furono concessi alla contessa Maria Geltrude di Berlips, dama della Regina di Spagna, dietro versamento di una rendita annua di 10.800 ducati che, beninteso, avrebbe recuperato con gli interessi sulle spalle dei torresi.

Ma appena cinque mesi dopo, il 30 settembre del 1698 la Contessa di Berlips vendette il feudo a Mario Loffredo, un nobile spagnolo, Marchese di Monteforte per 106.000 ducati.

Allora i torresi pensarono che fosse giunto il momento di affrancarsi dal gioco feudale ed essere protagonisti del proprio destino. Si scelse la via della trattativa con il vicereame perché era assolutamente escluso che la liberazione potesse avvenire con una ribellione, una sommossa rivoluzionaria, in quanto era ancora vivo il fallimento della rivolta di Masaniello del 1647 soffocata nel sangue e la galera, lasciando tutto peggio di prima.

Così nell’ottobre 1698 i torresi presentarono alla Regia Sommaria, una specie di Mef e Corte dei Conti, una istanza di riscatto visto che il Monteforte non aveva ancora versato i 106.000 ducati pattuiti.

Tutti fecero uno sforzo enorme e nessuno si sottrasse a quello che oggi chiameremmo “impegno civico” per raccogliere la somma dovuta.

E arriviamo al giorno del 18 maggio 1699 giorno dell’udienza della Sommaria.

Michele Vargas il presidenteda inizio alla udienza annunciando il parere favorevole al riscatto. Il marchese si oppone ma non è in grado di versare all’istante il dovuto.

Allora Vargas rivolgendosi ai rappresenti dei casali: E voi avete i ducati? Giovanni Langella, futuro primo cittadino, batte le mani e vengono avanti due coppie di portatori con due bauli, di quelli che vediamo nei film dei pirati, che depongono ai piedi del presidente.

 Questa è la nostra risposta! Ecco i ducati, grida Langella.

Allora Vargas viene in avanti e dichiara Torre del Greco egli altri casali liberi dal baronaggio.

Dai presenti parte una standing ovation, scampanio a festa e qualche fuoco d’artificio.

Finalmente il sogno di riscatto sociale si realizza!

Ancora oggi è ammirabile e stupefacente ripercorrere quanto fu fatto in quel periodo. Torre nonostante il corallo, non stava messa tanto bene: era stata semidistrutta dal Vesuvio nel 1631, scossa dalla rivoluzione nel 1647 e devastata dalla pestilenza nel 1656. Questo ci fa capire quanto fosse profondo il desiderio per la propria indipendenza e di non essere considerati pacchi postali comprati e venduti calpestandone la dignità!

 Pertanto, quest’epopea deve essere di sprone per tutti specie per le giovani generazioni, perché bisogna sempre porsi un obiettivo positivo nella vita, per quanto assurdo e impossibile possa sembrare.

Gaeta, ultimo atto

Presentato a Torre del Greco il giorno 8 giugno 2023 il docu-romanzo sull’assedio di Gaeta.

Alla presenza di un folto e qualificato pubblico”, queste sono le frasi rituali di prammatica che si adoperano in genere per eventi di carattere culturali. Ma stavolta è stato effettivamente così senza alcuna, esagerazione, né agiografica né di routine.
Annunciata da tempo dalla stampa partenopea in particolar modo da “ Tutto è”, “Metropolis” ed altre testate e tivù on line, il giorno 8 giugno scorso presso la libreria Alfabeta di Torre del Greco si è tenuta la presentazione del romanzo storico “Gaeta, ultimo atto” di Camillo Linguella, sociologo del welfare previdenziale e meridionalista, nonché studioso della storia del Sud, in particolare del Regno delle Due Sicilie, che per vicende più o meno note, raccontate in maniera più o meno distorte, comunque fu annesso al Regno di Sardegna con un plebiscito sulla cui legalità pochi giurerebbero.

L’evento è stato magistralmente condotto dal giornalista Aniello Sammarco che ha illustrato i contenuti del libro ed il contesto storico in cui è stato inserito, la difesa a Gaeta di Francesco II nell’ultimo disperato tentativo di salvare il Regno delle Due Sicilie. Prima di dare la parola a Linguella c’è stato un contributo di Carmine Paino titolare della libreria Alfabeta del circuito Mondadori.

Alla manifestazione è intervenuto anche il neo sindaco di Torre del Greco, Luigi Mennella, che senza entrare nel merito specifico del romanzo la lodato l’iniziativa di carattere culturale e ha fatto intendere che lui curerà molto la cultura a Torre del Greco in tutte le sue molteplici manifestazioni.

Il Regno delle due Sicilie era lo Stato territorialmente più esteso, più popoloso e, incredibile ma vero, col il bilancio pubblico attivo. Situazione che cambiò immediatamente dopo l’unificazione: fabbriche delocalizzate al nord, condizioni di vita specie dei lazzari e dei contadini peggiorate, inizio dell’emigrazione.

Torre del Greco vanta ben 12 ville vesuviane alcune delle quali avrebbero bisogno almeno di un po’ di verniciatura. Ed in un paio di queste ville inesistenti che si sviluppa la complessa trama del romanzo storico di Camillo Linguella che ha come centri di azione, da una parte Torre del Greco e dalla parte opposta la fortezza di Gaeta dove si consumò l’ultima resistenza dei soldati duosiciliani.
È un episodio spesso ignorato dalla storiografia ufficiale oppure appena accennato. Ignoto perfino a molti meridionali. Invece fu un riscatto nobile di una dinastia che non aveva saputo cogliere i fermenti nuovi nell’aria. Eppure stranamente i Borbone avevano dato vita al cosiddetto ” illuminismo napoletano” anche se poi si persero per strada.

Il fulcro centrale di questa nuova ideologia è costituita dalla cosiddetta “autonomia differenziata”, un semplice eufemismo linguistico piuttosto usato per dare una aspetto più simpatico a qualcosa per mascherare la volontà di disunire per motivi sostanzialmente edonistici ed egoistici. E invertendo l’ordine dei fattori, i borbonici che nel 1800 volevano stare in pace a casa loro, fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata ( il mar Mediterraneo), oggi i borbonici progressisti, e non è un ossimoro, cioè una contraddizione in termini, ritengono che l’Unità d’Italia sia ancora un valore e che l’autonomia differenziata non può che essere una funesta operazione, sempre a danno del Sud.

Il referendum della Russia ed il plebiscito del Regno delle Due Sicilie: Un parallelo storico

il 21 ottobre 1860 mentre a Gaeta ancora si combatteva e le sorti del Regno dei Borboni non ancora decise, il Piemonte indisse in Plebiscito di annessione dove votò il 2% circa della popolazione.

La Storia seppure in maniera diversa, ci presenta a volte degli avvenimenti che pur possedendo enormi analogie, causano reazioni differenti.

Piazza Plebiscito a Napoli

Ciò è dovuto essenzialmente ai contesti in cui si svolgono e che variano continuamente per il mutare delle situazioni geopolitiche.

Ora la Storia offre un altro esempio oltremodo calzante: l’invasione della Russia in Ucraina, rivendicando suoi presunti diritti e l’invasione del regno Sabaudo al Regno delle Due Sicilie, variamente giustificato in questo caso dagli “aedi” risorgimentali. E’ stato il primo esempio di “esportazione” della democrazia con le armi in un paese “autocratico ed incivile che opprimeva i suoi sudditi” che poi sarebbero i Borbone.

Quello che sta succedendo in Ucraina, trattandosi di avvenimenti contemporanei, lo conosciamo bene ed è lampante la violazione dei diritti di uno Stato Sovrano. Oltre ad essere vicini agli assaliti ed esserne coinvolti emotivamente, siamo anche sconvolti per gli effetti collaterali dovuti all’aumento iperbolico del gas ed elettricità che poi si riverberano su tutti gli altri prezzi del nostro vivere quotidiano.

Le cancellerie hanno reagito compatte a quest’invasione, come compatte stanno reagendo di fronte al referendum farsa di fine settembre 2022, convocato per legittimare una brutale annessione. Infatti USA & UE hanno preparato una nuova tranche di sanzioni, la 8^, a uomini e cose della Federazione Russa.

Anche in Italia, 162 anni fa, il 21 ottobre 1860, si è perpetrato qualcosa di simile: L’effettuazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia sabauda.

 Uno Stato, facendosi scudo dietro ideologie di una élite culturale, prevalentemente formata da appartenenti della media ed alta borghesia, decise di “liberare dall’oppressione” un popolo tiranneggiato dal “malgoverno” di un altro Stato che era nientepopolimeno la “negazione di Dio elevata a governo”, come ebbe a dichiarare un politico inglese, come se in quel periodo negli slums di Londra si vivesse meglio che a Napoli, invadendolo.

L’affermazione di lord Gladstone, applaudita da tutti i “benpensanti” a scatola chiusa, veniva dal rappresentante di un paese che si era arricchito con la tratta degli schiavi abolita ufficialmente solo nel 1807, la pirateria sui mari e la Compagnia delle Indie e dal 1800, con l’avvento della rivoluzione industriale, con lo sfruttamento di operai uomini, donne e bambini nelle fabbriche.

Scopo di allora di Albione all’inizio era limitato unicamente ad assecondare la voglia di autonomia della Sicilia che le avrebbe assicurata il monopolio sullo zolfo e il controllo del Canale di Suez i cui lavori erano cominciati nel 1859, alla vigilia della operazione para militare dei “wagner” di allora, conosciuta come l’impresa dei mille.

Il Regno di Sardegna,  per portare a termine l’invasione del Sud, attraversò illegalmente i territori dello Stato della Chiesa, come fece Hitler quando per invadere la Francia, attraversò il territorio del neutrale Belgio.

In verde l’itinerario dell’esercito sabaudo

Napoli, un paese che credeva di essere al sicuro, situato com’era fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata (il Mar Mediterraneo), fu invasa da una potenza straniera  senza nessuna dichiarazione di ostilità.

Nessuno Stato pensò di applicare sanzioni contro il Piemonte che ricevette invece solo applausi, ed i massacri che compì dopo l’annessione contro i cittadini contrari 60.000 persone, comprese donne, vecchi e bambini, fu da tutti benvista se non addirittura incoraggiata.

Qualche anima buona poteva pensare che il regno sabaudo intervenisse in questo modo per dare man forte ai borbonici che erano stati invasi da un gruppo di “patrioti” desiderosi di portare progresso e libertà al sud, cosa che stanno ancora aspettando, ma non fu così.

E mentre il Regno delle Due Sicilie era nella piena pienezza dei suoi poteri in forza del diritto internazionale e a Gaeta ancora si combatteva, il 21 ottobre del 1860 Vittorio Emanuele II organizzò un plebiscito di annessione del Regno di Napoli. Vincendolo perchè in pratica utilizzò gli stessi sistemi intimidatori usati in Ucraina.

Con la differenza che allora i governi non si sdegnarono, né fecero alcunchè, ma si affrettarono a riconoscere immediatamente l’annessione.

Il 3 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II, con una tempistica eccezionale perché avveniva immediatamente il giorno dopo l’epica battaglia del Volturno ( 2 ottobre 1860), entrò ad Ancona per mettersi alla testa delle sue truppe, circa 39.000 uomini, per poter prendere militarmente possesso del Regno delle Due Sicilie e mettere da parte Garibaldi. In quell’occasione ebbe a proclamare solennemente:

Le mie truppe s’avanzano fra voi per affermare l’ordine: io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a rispettare la vostra…”  e avendo deciso l’annessione a prescindere se i napoletani la volessero o no, si dette subito da fare per legalizzare in qualche modo l’illegittima ed illegale invasione di un regno con il quale il Piemonte non aveva mai avuto ufficialmente dissidi né aveva mai dichiarata nessuna ostilità.

Anche questa volta lo strumento utilizzato fu l’indizione dell’ennesimo plebiscito.

La novità, che rendeva ancora di più illegittimo l’utilizzo delle strumento plebiscitario, è che il Regno delle Due Sicilie era quello di un regno legittimo, riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, non c’era stata rivolta di popolo contro il re e quest’ultimo non si era né dimesso né era fuggito col suo patrimonio all’estero ( infatti lo aveva lasciato nel caveau del Banco di Napoli che lo crediate o meno).

Infatti il plebiscito fu indetto mentre si combatteva ancora e inoltre l’esercito napoletano si preparava a vivere alcune delle sue pagine più gloriose nell’Assedio di Gaeta.  Assedio che durò tre mesi mentre i piemontesi pensavano di sgominare i resti dell’esercito duosiciliano alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre 1860.

Il Plebiscito era un istituto del Diritto Romano inteso ad interrogare il popolo per conoscerne la volontà su determinate questioni di interesse generale. Infatti la parola deriva dal latino plebiscitum (plebis scitum) cioè “quello che ha stabilito il popolo”. Esso fu riesumato in Francia da Napoleone III nel 1851 per far convalidare il suo colpo di stato.

Poi il Piemonte se ne servì abbondantemente.

Stupisce la velocità dei tempi e delle procedure previste, se si tiene conto che fu indetto in un momento non solo storicamente in preda alle convulsioni della guerra, ma in un paese con poche strade, pochi telegrafi e scarsa rete ferroviaria. Per tempi così ravvicinati, sarebbe occorso un odierno sistema informatico di quelli utilizzati dai moderni ministeri degli interni. In 2/3 giorni si organizzò tutto.

Il Regno delle Due Sicilie contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena un milione e mezzo circa, ma valse a decretare la sua fine.

Questi i risultati:

Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;

Sicilia: 432.053 si, 667 no!

Da allora il Sud aspetta di tornare ai livelli di vita pre union e la Sicilia che aveva lottato e si era illusa  per l’autonomia, si trovò ad essere ancora più periferica, ora che il nuovo stato comprendeva moltissimi altri territori.

Chi vuole istituire una giornata per la proclamazione del regno dei Savoia, si ricordasse anche del plebiscito

Un nuovo Carlo III irrompe nella storia

La Storia annovera già altri re che si sono chiamati così, il più famoso dei quali fu Carlo III, re di Spagna meglio conosciuto come re di Napoli e di Sicilia, il fondatore della dinastia borbonica italiana.

Carlo III Windsor

Carlo 3 Windsor è finalmente re del Regno unito e ha subito dichiarato che vi rimarrà finché vivrà, quasi a fugare i desiderata di quanti lo avrebbero voluto già dimissionario in favore del figlio Guglielmo, solo perché forse costui è più giovane, fotogenico e simpatico.
Mentre sono in corso le incredibili scene da Edimburgo a Londra di vicinanza alla defunta sovrana (a Londra si parla di una coda di ben 16 chilometri di persone che vogliono renderle l’ultimo omaggio con un tempo d’attesa di ben 24 ore se non di più), al nuovo re spetta l’ingrato compito di dimostrare la validità dell’istituto monarchico.
Prima di tutto mantenere un istituto non rappresentativo ma ereditario. Si diventa re solo per nascita. E non è vero che non esercita potere, lo esercita e come, naturalmente a seconda della personalità del soggetto in carica. Lo abbiamo visto come, perfino nelle democrazie parlamentari, nelle quali generalmente il Capo dello Stato è (dovrebbe essere) solo un simbolo, in realtà produce degli effetti politici.
Dovrà dimostrare di non essere uno scroccone sulle spalle dei sudditi, ma il rappresentante di un’istituzione che per quanto obsoleta è utile al Regno Unito (e la sua prima scommessa sarà quella di continuare a tenerlo unito) e di tenere uniti anche tutti i paesi ad esso collegato con il Commonwealth. Come si sta il termine sta ad indicare il “benessere comune”.
Poiché sui giornali e sui tabloid popolari, che sono quelli che fanno opinione di massa, insieme ai socials, girano articoli sul patrimonio dei Windsor, mischiando artatamente i beni pubblici con quelli personali, si capisce che per Carlo non spira proprio una buona aria, che si aggiunge ai già gravi problemi separazionisti della Scozia e dell’Irlanda del Nord oltre a quelle delle isole caraibiche.
Vedremo come si comporterà ora perché da principe oltre ad interessarsi di ambiente, è noto per essere stato sposato con Diana e poi per aver impalmato Camilla, ora regina consorte. Ma i primi passi sembrano appropriati.

  • Carlo III (nato Charles Philip Arthur George; Londra, 14 novembre 1948) è il re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri quattordici reami del Commonwealth fra cui l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda.
  • Mentre Carlo II di Napoli divenne re a 18 anni, Carlo d’Inghilterra è salito al trono a 73 anni ma negli ultimi anni ha svolto spesso un ruolo di supplenza della madre ormai ultra novantenne. Quindi una certa esperienza ce l’ha. Ma una cosa è fare il sostituto, un’altra il titolare.

E’ un altro Carlo III che irrompe nella storia.

Essa annovera già altri re che si sono chiamati così, il più famoso dei quali fu Carlo III, re di Spagna meglio conosciuto come re di Napoli e di Sicilia, il fondatore della dinastia borbonica italiana.

Carlo III il Grosso imperatore del Sacro Romano Impero

Carlo il Grosso

Il primo re Carlo III, detto il Grosso era figlio di Ludovico il Germanico, re di Germania, nacque a Neidingen, il 13 giugno 839 e vi morì il 13 gennaio 888. Fu re di Germania (876-887), poi re d’Italia (879-887). Incoronato Imperatore dei Romani a Roma(881-887), fu poi re dei Franchi orientali e dei Franchi occidentali, nonchè re d’Aquitania).
Riuscì a ristabilire per un breve periodo l’unità dell’Impero di Carlo Magno, ma non riuscì a sconfiggere i Normanni nel nord della Francia e fu deposto nell’887, morendo l’anno dopo.

Carlo III d’Angiò-Durazzo re di Napoli

Carlo III Angiò-Durazzo


Il secondo Carlo III che incontriamo nella storia fu Carlo d’Angiò-Durazzo (Schiavonea, 1345 – Visegrád, 24 febbraio 1386), figlio di Luigi, III duca di Durazzo, e di Margherita Sanseverino.
Carlo III d’Angiò fu re di Napoli, dal 1382, e re d’Ungheria con il nome di Carlo II detto il Breve, dal 1385.
Carlo III d’ Angiò-Durazzo prese possesso del trono di Napoli, scacciando la cugina Giovanna I nel 1381 che face assassinare l’anno successivo. Ma fu poi assassinato a sua volta nel 1386 in una congiura organizzata dalla regina Elisabetta di Bosnia.
Dopo la sua morte gli succedettero sul trono di Napoli i due figli, prima Ladislao e poi Giovanna, che morirono entrambi senza lasciare figli legittimi, causando la fine della dinastia angioina sul Regno di Napoli.

Carlo III di Monaco

Carlo III di Monaco


Il terzo Carlo III lo troviamo a Montecarlo ed è famoso per aver dato vita al Casinò di Montecarlo.
Carlo III di Monaco (Parigi, 8 dicembre 1818 – Marchais, 10 settembre 1889) fu Principe di Monaco dal 20 giugno 1856 alla sua morte. Fondò il Casinò per riassestare le finanze del piccolo principato dopo gli sprechi fatti dal padre Florestano.
Il principato fu possedimento dei Grimaldi, una potente famiglia genovese, fin dal 1297. La rocca fu conquistata da Francesco Grimaldi, un nobile genovese che si introdusse nel castello travestito da monaco, da cui il nome del principato.
Durante la Rivoluzione francese, il piccolo stato fu annesso alla Francia, finché nel 1815 il congresso di Vienna lo restituì ai Grimaldi.

Carlo III di Borbone re di Napoli e di Sicilia e poi re di Spagna

Carlo III re di Napoli e poi di Spagna


Il monarca più conosciuto fino a questo momento, almeno per i borbonici progressisti o meno, è stato indubbiamente Carlo III di Borbone fondatore della dinastia del Regno delle Due Sicilie e poi re di Spagna.
Carlo (Madrid 20 gennaio 1716 – Madrid, 14 dicembre 1788) era figlio di Filippo V di Borbone e di Elisabetta Farnese e quando arrivò a Napoli, quel “pezzo di cielo caduto sulla terra”, trovò una capitale distrutta economicamente e moralmente da 27 anni di dominazione austriaca e da 200 di vicereame spagnolo.
Era stato prima Duca di Parma e Piacenza (1731-1734), poi Re di Napoli e di Sicilia (1734-1759) e infine Re di Spagna (1759-1788).
Il 10 maggio 1734, diciottenne, Carlo entrò in Napoli acclamato dai nobili e dal popolo perché era il primo Re residente a Napoli. Iniziava a Napoli la dinastia dei Borbone.
Carlo, nel luglio del 1735, fu incoronato, a Palermo, Re di Sicilia.
Rilanciò il regno sotto tutti i punti di vista, principalmente quello economico e culturale. Face costruire la reggia di Caserta, il Teatro San Carlo, il famoso Albergo dei Poveri ed iniziò gli scavi di Pompei ed Ercolano.
Quando partì per Madrid tutti lo rimpiansero sinceramente.
In Spagna le cose non gli andarono altrettanto bene come a Napoli. Fra l’altro appoggiò la guerra di indipendenza degli Stati Uniti contro l’Inghilterra, cosa che poi si ritorse contro la Spagna perché dette l’esempio a tutte le sue colonie dell’America latina.
I numerosi insuccessi in politica estera spinsero il sovrano a concentrarsi principalmente sulla politica interna.
Modernizzò la società e la struttura dello stato sul modello illuministico grazie all’aiuto di pochi e ben selezionati funzionari scelti tra la piccola nobiltà.

Dopo aver scacciato i Gesuiti incamerandone le ricchezze, nel 1783, con un decreto riconobbe la possibilità anche all’aristocrazia di dedicarsi al lavoro manuale, mentre la concessione di numerosi titoli ne garantì il primato sociale, a compenso dell’abolizione di alcuni privilegi fiscali.
Memore di come aveva abbellito Napoli, si dedicò anche a fare Madrid una degna capitale di un regno che era immensamente più grande di quello delle Due Sicilie e i madrileni furono talmente soddisfatti da insignirlo del titolo di sindaco di Madrid.
Inoltre Carlo istituì la bandiera della Spagna con le bande rosso ed oro e nel 1770 Carlo III dichiarò la Marcha Granadera marcia d’onore, di fatto l’inno nazionale spagnolo che è in vigore ancora oggi. Quando fu indetto un concorso per l’inno ufficiale spagnolo, non si presentò nessun candidato e perciò è rimasto quello di Carlo III.
L’inno nazionale del Regno delle Due Sicilie invece fu scritto e musicato da Giovanni Paisiello, nel 1787, per volontà di Ferdinando IV di Napoli.

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