25 marzo 2021: l’ingolfo commemorativo: Dante oscura Venezia

Lo scorso 25 marzo c’è stato un ingolfo commemorativo nel quale Venezia ha avuto decisamente la peggio.

Durante tutta la giornata siamo stati sommersi da una marea commemorativa di reminiscenze dantesche culminata con lo show di Benigni Roberto che ci ha allietato per l’ennesima volta, e non gliene saremo mai abbastanza grati , recitando qualche brano della Commedia dantesca, meritatamente preceduta dall’aggettivo di Divina. Alla presenza mi sembra di aver capito del Presidente della Repubblica
Diciamo che a riequilibrare un po’ la cosa c’è stata una trasmissione su Dante irradiata da Rai Storia e spiegata con la solita capacità divulgativa da Alessandro Barbero, per cui anche io ci ho capito qualcosa.
Devo confessare che di Dante ho poche cognizioni, in massima parte reminiscenze scolastiche, più dal lato storico che da quello artistico,. A suo tempo, perché obbligato, ho letto qualche canto dell’Inferno, non mi ricordo granchè, ma mi era piaciuta l’architettura con cui aveva immaginato l’aldilà per comprendere la quale dobbiamo immergerci nello spirito del modello culturale esistente fra il 1200 e 1300, di cui si ritrova qualche reminiscenza del saggio di J. Huizinga “l’autunno del medioevo”. E’ ovvio che ci si conosce un poco di più l’inferno dove c’è l’incontro con Virgilio, lo spin doctor del divo Augusto, il conte Ugolino e le sue devianze antropofaghe, la love story di Paolo e Francesca e qualcosina del purgatorio e del Paradiso, tipo l’incontro con Beatrice: cose troppo complicate che lascio volentieri agli studiosi specialisti.
Dante è un anticipatore dei Social network: i vari personaggi, a secondo in che rapporto stanno con lui, lui li schiaffa o meno nei vari gironi dell’inferno. Invece dei post e dei commenti, una bella terzina e via.
Per capirlo appieno vi consiglio un vecchio libro di Indro Montanelli, un divulgatore ante litteram: Scorrendo il libro “Dante ed il suo secolo” si può avere un quadro più esatto del periodo in cui il “sommo poeta” ebbe a vivere. Fu un personaggio a tutto tondo che non scese mai a compromessi e difficilmente avrebbe seguito l’abitudine molto diffusa nel nostro periodo storico, di “mutare casacca”. Lui non la mutò mai e invece di vivere nell’agiatezza nelle corti provenzali dove i trovatori erano benvoluti e benpagati, pagò lo scotto della sua coerenza. Meriterebbe essere ricordato solo per questo a scorno degli odierni trasformisti A me hanno sempre affascinato le silografie di Durer e di Gustavo Doré, specie quelle raffiguranti l’inferno che hanno accompagnato il mio immaginario .
Se il 25 marzo 2021 si ricordavano i 700 anni del sommo poeta, sempre il 25 marzo 2021 cadevano i 1600 anni della fondazione della Repubblica di Venezia.
Vediamo perché si è creato il bisticcio e la sovrapposizione delle ricorrenze.
Dante è nato a Firenze forse a maggio o forse a giugno del 1265, ed è morto a Ravenna il 14 settembre 1321. Allora perché si festeggia e si commemora con il “Dantedì” il 25 marzo?
Forse la colpa è del pressappochismo burocratico culturale dei soggetti che presidiano le nostre istituzioni.
La giornata per Dante è stata istituita nel 2020 dal Consiglio dei ministri su suggerimento del ministero della cultura. La scelta del 25 marzo, come data per celebrare Dante non è casuale. A cominciare dal nome, infatti il giorno dedicato a Dante si chiama “Dantedì” perché all’inventore della lingua italiana, anche se volgare, non si poteva dedicare un “Dante Day” qualsiasi.

Perché il 25 marzo lo spiegò Dario Franceschini, Ministro per i beni e le attività culturali. Poiché gli studiosi identificano con il 25 marzo il momento in cui ha inizio il viaggio nell’aldilà, quando il poeta, “nel mezzo del cammin di nostra vita si ritrovò per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita” per questo motivo fu scelto quel giorno. Quindi la commemorazione non riguarda in toto Dante, ma principalmente la Divina Commedia.
Nello scegliere la giornata del 25 marzo, il ministro Franceschini, ma neppure i suoi consulenti e collaboratori, non aveva presente che nello stesso giorno era previsto un altro evento, anche questo di una certa importanza e rilevanza storica: la celebrazione dei 1600 anni della nascita di Venezia.
Le leggende e gli antichi documenti parlano del 25 marzo del 421 dopo Cristo come data di nascita della Repubblica di Venezia.
In quel giorno sarebbe stata fondata la chiesa di San Giacomo a Rialto attorno ai primi nuclei di veneti scampati dalla furia devastatrice degli invasori barbari.
Sicuramente è una data inventata, come il 21 aprile per i natali di Roma, ma serviva a dare ai veneziani un punto di partenza di un percorso che è stato glorioso ed importante.
Ecco perché forse valeva la pena tenere distinte le due celebrazioni quelle di Dante e quella della Repubblica di Venezia.

Ma, come si dice, è inutile piangere sul latte versato.

La festa di San Giuseppe, origine e tradizioni. Perché le zeppole

Per il secondo anno consecutivo la festa di San Giuseppe, causa Covid, sarà celebrata diversamente dalle precedenti ricorrenze cui eravamo abituati con le solenni processioni, le luminarie e i concerti bandistici e nei tempi un po’ più lontani da quelli di oggi, da tavole imbandite per i poveri e distribuzione del pane. Un solenne aspetto esterno, folkloristico, intendendo con questo termine tutte le manifestazioni genuine della vita culturale del popolo, che completa l’aspetto interiore più religioso.

Un santo popolarissimo
San Giuseppe è un santo popolarissimo, venerato dappertutto, principalmente per il suo ruolo all’interno della Sacra Famiglia e sia per il suo lavoro.
Si narra che fossero molti i pretendenti di Maria, e recandosi nel tempio lasciarono i loro bastoni, quando li ripresero, il bastone da passeggio di San Giuseppe era fiorito, il segno della scelta. Infatti se vediamo le immagini del Santo notiamo che c’è sempre il bastone fiorito e a fianco a questo elemento che non muta nei secoli, notiamo invece come cambia la figura del Santo. Nel medioevo viene raffigurato come un vecchio, ma attraverso i vari periodi subisce un ringiovanimento. Alcuni per giustificare la differenza di età dicono che addirittura fosse un vedovo con figli. In quell’epoca ordinariamente l’età del matrimonio era di 13/15 anni per le donne e 18/20 per gli uomini e questa sarà stata la loro età.

Il racconto nei Vangeli
La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l’episodio dell’Annunciazione: “Nel sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria”.
Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio “che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo”.
In queste circostanze “Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto” come dice il Vangelo secondo Matteo. L’uomo non sapeva come comportarsi di fronte maternità della moglie di cui sapeva di essere estraneo e, a parte il dolore personale certamente cercò come risolvere una difficile situazione perché Maria poteva essere legittimamente lapidata.
Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che sciolse ogni dubbio e gli disse: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati.
Svegliatosi, Giuseppe, rasserenato con se stesso, fece come gli aveva l’angelo. Il resto lo sappiamo, la nascita nella grotta, la fuga in Egitto eccetera, ma non sappiamo quando e come morì, sicuramente presto perché gli studiosi fanno notare che non era presente alla crocifissione, mentre dai Vangeli Apocrifi ci sono molti più dettagli su San Giuseppe. Ma tralasciando gli aspetti teologici, filosofici e religiosi che sono proprio degli esegeti , a noi interessa il San Giuseppe che si dedica alla famiglia, che vive del suo lavoro di carpentiere. Non a caso nel giorno di San Giuseppe si celebra anche la festa del papà e di patrono degli artigiani e dei lavoratori.
Fra i Santi non è lecito fare delle graduatorie, ma se si facessero probabilmente occuperebbe uno dei primissimi posti, se non addirittura il primo, ma fortunatamente queste cose i Santi le lasciano a noi, miseri mortali.
Chi era San Giuseppe lo sappiamo tutti ed Eduardo De Filippo ne tratteggia la figura con pochi versi nella celebre poesia “ Vincenzo de Pretore”, che è un inno al Santo. Anche in questo caso c’entra la famiglia in un contesto completamente diverso e fortunatamente superato, dove lo stigma del figlio senza padre portava all’esclusione dalla società cosiddetta civile.
Vincenzo de Pretore è un ladruncolo napoletano, figlio di padre ignoto, che finendo spesso in galera pensa di aver bisogno della protezione di un santo che lo assista e lo protegga. Non cerca il classico “santo in Paradiso”, inteso come un’ influente personalità mortale, ma un Santo vero e proprio e possibilmente molto potente.
Così ragiona De Pretore dopo l’ennesimo arresto:

“s’adda perdere ‘o nomm’ ‘e De Pretore
Si nun trovo nu Santo protettore
Ca me protegge ‘nterra, e in aldilà!
E chi sceglio? Chi piglio?” – Finalmente,
chillo ca cerca trova, penza e penza.
Se scigliette nu Santo ‘e conseguenza,
ca meglio d’isso ‘ncielo nun ce stà.
Pato a Gesù, marito d’ ‘a Madonna,
‘mparentat’ a Sant’Anna e a San Gioacchino:
“Si nun me po’ proteggere a puntino
Qua San Giuseppe me pruteggiarrà?”
Arrubbava vasanne fijurelle;
nu furto, nu lumino e ddoje cannele…
Era cadut’ ‘ puorco dint’ ‘e mmele.
San Giuseppe ‘o faceva rispettà.
Chi ‘o manteneva ‘o 19 ‘e Marzo,
‘o jiuorno ‘e San Giuseppe! Addirittura,
si se trovava ‘ncopp’ a na Quistura,
nun se steva cujeto manco llà.

Purtroppo per Vincenzo de Pretore, le cose non andarono nel verso auspicato. Morì per una pistolettata e volato nell’aldilà pretende di essere accolto in Paradiso in quanto protetto da San Giuseppe. Naturalmente la richiesta viene respinta e quando San Giuseppe minaccia di lasciare il Paradiso perché in contrasto con il Patreterno per questo motivo, balza subito agli occhi il suo status di primo piano:

E c’ ‘a mazza fiorita, San Giuseppe,
comme si nun avesse manco ‘ntiso,
lassav’ ‘o posto ‘e copp’ ‘o Paraviso,
c’ ‘a capa sotto, e senza s’avutà.
‘A Madonna, strignènnose dint’ ‘e spalle,
se susette pur’essa e s’avutaje;
facette ‘a riverenza, salutaje,
dichiaranno: “Ma comme pozzo fa?…
Giuseppe è mio marito, certamente…
E lo devo seguire ovunque vada.
Io, come moglie, seguo la sua strada:
‘na mugliera fedele chesto fa”
Gesù Cristo dicette: “Io song’ ‘o figlio…
Che faccio? ‘E llasso sule? E cu’ qua’ core?
Specialmente mia Madre, se ne more…
Io mme ne vaco cu Papà e Mammà”
Sant’Anna fece segno a San Gioacchino
San Giuvanne, cumpar’ ‘o Salvatore…
L’Angelo Gabriele Annunciatore
Pur’ isso s’ ‘a vuleva spalummà.
Tanto, ca ‘o Pateterno se susette,
strillanno: “Fermi tutti!!… Dove andate?
Si overamente ascite e ve ne jate,
‘o Paraviso nun ‘o pozzo fa”

………
Ascoltatela tutta la poesia di Eduardo, ne vale la pena!
Ed ora perché le zeppole a San Giuseppe e per estensione le tavole imbandite per i poveri ed il pane regalato.
A Torre del Greco nei tempi passati si offriva il pranzo per i meno abbienti in “mezzo alla guardia” corrispondente all’attuale Corso Umberto e poi si regalavano letteralmente al locale ospizio della Divina Provvidenza, camionate di pane raccolto che si manteneva fragrante almeno per una settimana.
Peerchè si festeggia il 19
Ma perché il giorno 19 visto che si sa poco della nascita e della morte del Santo. Dunque la data della festa segue un po’ la “prassi” del primo periodo del cristianesimo, quando le nuove ricorrenze si innestano su quelle precedenti. Un po’ come è successo per la data del Natale.
Forse anche per la scelta del giorno 19 marzo è successo così, che cade in coincidenza dell’equinozio. Durante l’equinozio la durata del giorno e della notte sono identiche. Non a caso, il termine proviene dal latino “aequa-nox”, ovvero l’equilibrio tra giorno e notte. L’equinozio di primavera si verifica sempre tra il 19 e il 21 marzo: la data non è fissa, per quest’anno, il 2021, il fenomeno astronomico è atteso il 20 marzo. Esso segna il passaggio dall’inverno alla primavera.
La festa della Liberalia
Durante il periodo romano il 17 marzo veniva celebrata la festa della Liberalia ( festa del Pater liber) durante la quale i ragazzi di 16 anni diventavano maggiorenni. Le famiglie offrivano pane e vino e grandi quantità di frittelle condite con il miele.
Con l’avvento del cristianesimo, spostando la data a ridosso dell’equinozio, San Giuseppe si festeggiò il 19 e si continuò ad offrire il pane e a mangiare le frittelle che con tempo si sono trasformate nelle classiche zeppole.

Il 17 marzo 2021 si celebrano i 160 anni dell’Unità d’Italia, col suono delle sirene fra strade deserte

Il provvedimento di nomina di Vittorio Emanuele II

Se c’è una cartina di tornasole che mette in evidenza la bontà dell’Unità d’Italia è la pandemia Covid 19. Non fuochi d’artificio e rullio di tamburi militari, ma il suono lancinante delle autoambulanze fra strade deserte.

La pandemia offusca l’evento
Il caos decisionale che dura da circa un anno fra Stato centrale ed Autonomie locali, Regioni e Comuni, ha dimostrato più che mai la necessità di un forte stato centrale ma non necessariamente accentratore, ma reale coordinatore degli indirizzi e delle attività operative.
Non si vorrà, si spera, che, superata questa fase, si torni alla richiesta più o meno mascherata, di autonomia di alcuni pezzi di territorio, scomparse in questo periodo, ma le lacerazioni fra nord e sud si sono fatte ancora più stridenti.
Proclamata il 17 marzo 1861, 160 anni, per una nazione si tratta dell’età di una giovincella in pieno fiore, ma è indubbio che si sono vistose crepe acuite dalla pandemia che non si riesce né a vincere, né a contenere nonostante tutti i miracoli della tecnica ( intelligenza artificiale, missioni spaziali, internet ecc). L’unico sistema adottato è lo stesso sui facevano ricorso i nostri avi, l’isolamento e la quarantena. La vera sostanziale novità consiste nella mascherina.

Il plebiscito di annessione ha pochi votanti
Se non ci fosse stato quest’impedimento sanitario, chiamiamolo così, oggi saremmo stati sommersi da una marea di retorica melassa apologetica.
il Plebiscito per l’annessione al Piemonte fu indetto per il 21 ottobre 1860 mentre si combatteva ancora.
Esso fu una vanagloriosa, aberrante e tragica messinscena per salvare la forma di cui tutti i governanti europei erano ben consapevoli.
Il regno contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena il 19 per cento degli aventi diritto, ma valse a decretare la sua fine. Il voto, per stessa disposizione del decreto di indizione, non era segreto ma palese.
La votazione sancì a grandissima maggioranza l’unione del Regno delle Due Sicilie al regno sabaudo, compresa la Sicilia. Sulla regolarità della consultazione non é il caso di soffermarci.
Questi i risultati:
Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;
Sìcilia: 432.053 si, 667 no!
Il 13 febbraio 1861 Francesco II capitolò dopo aver salvato l’onore della dinastia e dell’esercito borbonico lasciando campo libero ai piemontesi.

Perchè crollò il regno borbonico
Sul rapido tracollo del regno napoletano si sono fatte molte congetture. Secondo molti osservatori, la determinazione di Cavour fu corroborata dalla volontà dell’Inghilterra e della Francia. Specie dell’Inghilterra. La politica imperiale di questo paese basata sul mantenimento di una grande potenza navale e non disdegnava l’alimentazione di disordini all’interno degli altri Stati. Per quanto riguarda il Mediterraneo, pur trovandosi il Regno Unito geograficamente al di fuori di esso, non ne ignorò mai l’importanza strategica e appena potè mise due teste di ponte, con l’impossessamento di Gibilterra e, nel 1800, di Malta, che apparteneva alle Due Sicilie. Quando intorno al 1850 il canale di Suez cominciava a profilarsi come una realtà, per l’Inghilterra divenne ancora più importante potersi muovere liberamente nel Mediterraneo.

Il taglio dell’istmo di Suez, iniziato nel 1859, alla vigilia dell’impresa dei Mille, consentiva un collegamento più veloce con le colonie. Per questo uno dei suoi obiettivi fu l’eliminazione della Russia da queste acque dopo gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’Impero Russo, e per questo motivo non fu estranea la guerra di Crimea nel 1853, e il ridimensionamento dell’influenza politica della Francia nello stesso mare. Un altro elemento che aveva spinto l’Inghilterra a interessarsi più da vicino alle vicende politiche napoletane, furono le miniere di zolfo, indispensabili per l’ industria inglese.
La Francia, a sua volta, mirava a rafforzare la sua influenza sulla penisola italiana, specie nel centro sud. Era intenzionata a trasformare lo stato della Chiesa in protettorato francese e mettere un principe francese sul trono di Napoli.
Nonostante queste considerazioni, le volontà straniere agirono caso mai da catalizzatori. Il destino era compiuto, non solo per i desideri delle potenze europee ma anche per quelli dei borghesi, di alcuni aristocratici e possidenti meridionali. Non ne volevano sapere più dei Borboni. Anche loro pensavano che un mondo migliore era possibile.

Le elezioni del primo Parlamento italiano
Nel gennaio il 27 gennaio 1861, mentre a Gaeta ancora resisteva, si erano tenute le cosiddette elezioni per il primo Parlamento unitario. Su quasi 26 milioni di abitanti, il nuovo regno concesse il diritto di voto solamente a 419.938 persone (circa l’1,8%), di questi solamente 239.583 si recarono a votare di cui circa 70.000 impiegato pubblici. Allo spoglio risultarono validi 170.567 voti . Si votò in base alla legge elettorale del Regno di Sardegna senza tener conto delle diversità e delle esigenze dei regni annessi. L’elettorato poteva essere esercitato solamente dai maschi di età non inferiore ai 25 anni che sapevano leggere e scrivere, e avere un censo di almeno 40 lire annue Calcoli precisi non ve ne sono, ma grosso modo dovrebbe corrispondere a 50/80mila euro del 2019).
Il nuovo Parlamento così eletto, riunito in seduta comune il 17 marzo 1861 proclamò Vittorio Emanuele II Re d’Italia.

Mantenendo la vecchia numerazione dinastica questo fu, più di ogni altro, un gesto esplicitò di considerare il nuovo un semplice ampliamento del vecchio regno di Sardegna.
Giusto per per ricordare, Ferdinando era re di Napoli con il nome di Ferdinando IV e quando, dopo il congresso di Vienna nel 1815 fu istituito il Regno delle Due Sicilie fondendo il Regno di Napoli e quello di Sicilia in un unico Regno, volle chiamarsi Ferdinando I per segnarne la discontinuità.
Vittorio Emanuele II oppure 2 come vogliono i nuovi indirizzi culturali, fu un re autocratico anche se si servì spregiudicatamente dello Statuto Albertino, che utilizzò al meglio le capacità di Cavour ed ebbe una forte gelosia per Garibaldi, di cui invidiava le capacità militari ed amatoriali e, infine odiava fortemente Mazzini.
Ma ricordare queste cose non fa parte del filone di Cancel culture, ma semmai di Adjust culture.

Il 17 marzo 2021 si celebrano in tono minore i 160 dell’Unità d’Italia, ma tutti gli italiani si sentono uniti per sconfiggere la pandemia e avere un futuro migliore

Covid: Dopo un anno siamo punto e a capo, uno sconforto senza fine

Dopo un anno siamo punto e daccapo. Ormai la giornata è appesa al bollettino serale dell’andamento dell’epidemia. Ed ogni sera puntualmente i numeri non sono quelli che noi vorremmo. E’ vero che ogni tanto sembra di intravedere qualche spiraglio, un arcobaleno che spunta. Ma infallibilmente il giorno dopo questo spiraglio è chiuso, l’arcobaleno scomparso.

Virologi in gara per il “Premio Cassandra”
Ieri siamo stati beneficiati dal un altro decreto del presidente del consiglio dei ministri, il cui autore, per timidezza forse, non ha voluto illustrarlo agli italiani e residenti, delegando l’incombenza ai ministri della Salute e delle Regioni. E’ vero che finora si era abusato in esternazioni e le pagine dei social network erano roventi per lo sconsiderato uso che se ne faceva, ma come al solito si passa da un eccesso all’altro, immemori dell’insegnamento di Confucio della “legge del giusto mezzo”, ovvero che in medio stat virtus, dando l’impressione che il potere si stia richiudendo in una torre eburnea di un governo dei migliori ( Platone, Aristotele?) dove fare le sue sapienti scelte illuminate, mentre i virologi di ogni risma combattono in tivù per aggiudicarsi il “Premio Cassandra” e deprimerci ancora di più.
L’anno scorso proprio in questi giorni cominciava la nostra tragedia, la nostra prima clausura. L’affrontammo bene come le truppe che vanno all’attacco baldanzosi contro il nemico fidando di poter vincere in pochi giorni.

Rispetto all’epidemia del 1630 descritta dal Manzoni eravamo convinti che con i mezzi a disposizione sarebbe stata una passeggiata, una bazzecola, una pinzillacchera. Si cantava dai balconi, si scriveva andrà tutto bene e la prima Pasqua ce la siamo fatta a casa e la pasquetta senza mangiare il casatiello sul prato. Quest’anno ci sarà il reply, la replica e speriamo come suggerisce qualcuno che a pasquetta piova così soffriremo di meno
A giugno dell’anno scorso, folli ed incoscienti, cantavamo vittoria in un’orgia di ammucchiate che nessuno si pensava più potessero accadere. Invece il nemico aveva fatto una ritirata strategica e ora ci stiamo logorando in una guerra di trincea a spettando la nuova zona rossa universale.
L’unica speranza concreta che rimane è quella di una vaccinazione di massa

Nel 1973 tutti vaccinati in un mese

Nell’estate del 1973, l’Italia fu colpita da un’epidemia di colera che raggiunse alcuni comuni del centro-sud, fra cui Torre del Greco, che ebbe il primo caso clinicamente accertato, estendendosi poi a Napoli. Per stroncare la diffusione della malattia, le autorità, oltre ad un rigido cordone sanitario, attuarono immediatamente una vasta campagna vaccinale, la più massiccia di tutto il dopoguerra. I cittadini immunizzati furono circa un milione di napoletani e baresi tra il 30 agosto e il 3 settembre di quell’anno. Anche allora all’inizio non c’erano le dosi di vaccino per tutti ed il Corriere della Sera del 31 agosto 1973 denunciava in prima pagina, che «le dosi di immunizzanti affluiscono con eccessiva lentezza». Facendo le debite proporzioni fra i mezzi di allora e quelli di oggi, si sarebbero già dovuti immunizzare un quarto della popolazione, 15 milioni invece siamo a circa 4 milioni.

Occorrono criteri uguali per la vaccinazione da nord a sud
Ora sembra mettersi sul binario giusto l’aspetto logistico, senza aver definito un ordine di priorità omogeneo sul territorio nazionale, inoltre bisognerebbe uniformare anche i criteri di somministrazione del vaccino. Prima bisognerebbe stabilire due canali di vaccinandi:
Per categoria ( medici, infermieri, forze dell’ordine, insegnanti ecc…)
Per classi di età ( over 80, 70 ecc…)
Poi decidere se gli appuntamenti sono a domanda e a chi farle ( asl, medici di famiglia, regioni, comuni, le province no perché fortunatamente sono abolite) oppure sono questi soggetti che convocano gli interessati.
Perché presso il ministero della Salute ci sarà un data base che divide le persone secondo i criteri sopraccennati o almeno lo penso e se non esiste qualcuno avrà pensato a metterlo in piedi. Con tutti gli scienziati digitali che abbiamo a disposizione non dovrebbe essere complicato.
Speriamo che in tempi rapidi si possa raggiungere almeno la vaccinazione di un quarto della popolazione così da poter riprendere una parvenza di vita normale che tuteli la salute, fisica e psichica delle persone e l’ economia delle persone, perché non tutti sono lavoratori garantiti per i quali la pandemia si può prolungare all’infinito perché i danni sono marginali. Ci sono delle persone che se non si riaprono le loro attività, con tutte le garanzie del caso, forse non moriranno di covid, ma sicuramente per fame.

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