Torre del Greco: il riscatto, identità e tradizioni

Camillo e Costantino Linguella hanno presentato il loro lavoro su Torre del Greco, rievocando il passato e rinverdendo le tradizioni per costruire il futuro di cui già si vedono alcuni significativi passi. Ha portato i suoi saluti il sindaco di Torre del Greco Luigi Mennella.

La presentazione del libro

Il 6 giugno 2025 nel salone del Circolo Nautico di Torre del Greco si è svolta la presentazione del libro scritto dai fratelli Camillo e Costantino Linguella “ Torre del Greco: il riscatto, identità e tradizioni – Storie piccole nelle grandi storie. Moderatore eccezionale l’impagabile Aniello Sammarco. E’ intervenuto anche il sindaco di Torre Luigi Mennella che ha portato il suo saluto ed un prezioso contributo sue prospettive della città, partendo dalle riflessioni contenute nel libro.

La storia di Torre del Greco si può dire che si sviluppa e si dipana attorno alle sue tradizioni, partendo dall’esperienza più famosa del riscatto baronale, dalla festa dei quattro altari e dalla Festa dell’Immacolata che vale la pena ricordare perché videro protagonisti il popolo torrese, in prospettiva veramente delle Storie piccole nelle grandi storie, tenendo presente che la somma di  tante piccole storie fanno la storia universale. Rinfrescarne la memoria intrecciandole con la realtà contemporanea di Torre è stato ritenuto un atto dovuto per i fratelli Linguella.

Il riscatto baronale

Torre del Greco nel 1600 era un feudo, con una forte potenzialità agricola e marittima, ma era strozzata nella sua crescita economica dalla feudalità.

Sicuramente tutti quanti abbiamo se non letto, almeno visto al cinema o in televisione i Promessi Sposi, quindi si ha un’idea dell’ambiente, dei costumi, come spadroneggiavano i nobili feudatari. Insomma, le figure di Don Rodrigo e dei suoi “bravi”, degli stenti del popolo ci sono familiari. Siamo nel milleseicento in pieno dominio spagnolo sia a Milano che a Napoli.

Quando nel 1698 Nicola Maria Carafa, Principe di Stigliano, l’ultimo Capitano di Torre morì senza lasciar eredi i torresi pensarono che fosse giunto il momento di affrancarsi dal gioco feudale ed essere protagonisti del proprio destino. Si scelse la via della trattativa con il vicereame perché era assolutamente escluso che la liberazione potesse avvenire con una ribellione, una sommossa rivoluzionaria, in quanto era ancora vivo il fallimento della rivolta di Masaniello del 1647 soffocata nel sangue e la galera, lasciando tutto peggio di prima.

Tutti fecero uno sforzo enorme e nessuno si sottrasse a quello che oggi chiameremmo “impegno civico”. La memoria di questo scatto civile da quel momento fu indissolubilmente legata alla festa dei 4 altari.

Le feste sono la celebrazione di un evento eccezionale per mantenerne vivo il ricordo e costituiscono il cosiddetto “patrimonio immateriale” di una comunità. Col tempo i fatti che hanno dato origine alla ricorrenza sfumano, assumono dimensioni diverse, tutto si sposta sull’aspetto ludico, quando addirittura non vengono soppresse.

La primavera torrese

L’abbandono di questa festa fu la presa d’atto della fine di un periodo aureo  torrese e la rassegnazione ad una indolente stagnazione se non di un marcato regresso socio-economico.culturale

La sua ripresa avvenuta nel 2024 segnala una volontà di ripercorrere un percorso diametralmente opposto.

Torre del Greco ha una storia ricca di sfide e rinascite. Due momenti cruciali hanno segnato il nostro cammino: il primo di inizio di un periodo di feconda operatività e relativa prosperità, il riscatto baronale del 1699 , il secondo, sempre di partecipazione popolare, che simbolicamente chiude l’epopea iniziata con il riscatto e cioè lo sciopero dei marittimi del 1959.

Dopo un grigio periodo involutivo

Torre del Greco, all’ alba del duemilaventitré, si trovava in condizioni estremamente negative, degrado senza speranza di recupero.  Torre era reduce dal post covid che aveva lasciato in città molti contagiati e purtroppo tantissimi lutti, tanto da essere chiamata nel 2020 la Lodi o Codogno del sud. Questo, inoltre,  accadeva dopo il tracollo finanziario della compagnia di navigazione Deiulemar, che aveva provocato un ulteriore impoverimento dei patrimoni, per circa un miliardo di euro complessivi.

A tutto ciò si aggiungeva l’impoverimento intellettuale e civile della società torrese, conseguente al trasferimento dei giovani, laureati e non, dalla città verso l’Italia del nord in buona parte, e all’estero in misura minore, per scelta ma soprattutto per necessità.

Come reazione a questo stato di cose, un gruppo di persone raccolte attorno all’ avvocato Luigi Mennella, animati dall’amore per la propria città, decisero di impegnarsi per cambiare il senso di marcia della comunità e cioè creare le condizioni e lavorare per uno sviluppo autoctono ma integrato, come deve essere inevitabilmente una città europea negli anni 2000.  E cosi, è stata disegnata una progettualità strategica che pone come obiettivo la trasformazione della città, da nostalgica nobildonna  decaduta, ad artefice di una trasformazione socioeconomica che la vedesse partecipe di un nuovo rinascimento economico, sociale e culturale puntando sul turismo e valorizzando tutti gli asset presenti sul territorio, a partire da quelli classici legati al mare, all’artigianato tradizionale, l’agricoltura e la floricultura.

I saluti del sindaco di Torre del Greco Luigi Mennella

Nel suo seguito ed appezzato intervento di saluto agli autori, il sindaco di Torre del Greco, Luigi Mennella ha rapidamente illustrato le motivazioni che hanno portato la sua amministrazione alla ripresa della festa nel 2024 sottolineandone l’importanza e la necessità di darne un taglio nuovo e più partecipativo, come dire innovazione senza abbandonare la tradizione. “La festa fa parte del DNA dei torresi” ha sottolineato. Ogni torrese sia quello rimasto in città, sia quello “espatriato “, perché costretto a lasciarla, due cose porta nel cuore:  la festa dei 4 altari e la festa dell’Immacolata. Quest’anno, ha affermato il sindaco, si punta ad una festa 2.0 tale da farla diventare un punto centrale del rilancio cittadino e creazione di appuntamento ludico culturale ed economico per la creazione di un indotto che vada oltre ai soggetti direttamente interessati per riverberarsi su tutti. Già oggi ha detto si assiste ad un notevole incremento turistico fatto sia di torresi che vivono fuori sia di turisti attratti oltre che dalle bellezze locali, dal fascino della festa in sé. Sbaglia chi parla di spreco, di risorse da dirottare su altre necessità. Non si sacrifica nessuna priorità,  e riteniamo tuttavia che anche la cultura è motore di sviluppo economico.

La festa dell’Immacolata 2024

Significativa nel breve saggio è il racconto della personale esperienza di Costantino sulla festa dell’Immacolata e specialmente nella passata edizione del 2024 che lo ha visto protagonista dell’ideazione del carro trionfale. Per lui centro di gravità permanente è da sempre l’otto dicembre, La festa dell’Immacolata che a Torre del Greco ha un significato speciale.

Nei giorni della festa, il popolo di Torre del Greco riesce a sciogliere l ‘insieme di variegate individualità diventando comunità. Una comunità che chiede speranza e futuro, protezione e attenzione, amore e lavoro. Il perno della festa sta nella costruzione del carro votivo (macchina da festa) che dal 1862 viene costruito per ringraziamento alla Vergine Immacolata , che intercesse durante l’ eruzione vesuviana del 1861. Ebbene per il 2024 ebbe il privilegio e l’onore di avere l’incarico dal Parroco Don Giosuè Lombardo,  a cui sarà sempre grato,  di preparare il progetto del carro votivo  dell’anno stesso.

  La presentazione del libro è stata vivacizzata con riusciti innesti canori e la recita di una scena sul Riscatto.

Hanno preso parte alla serata Rosalba Pernice, Antonio Crispino, Salvatore Vitiello, Decio Delle Chiaie, Marina Bruno e Giuseppe di Capua.

Il libro è reperibile su Amazon

Il regista Andò, il neo apologeta garibaldino, dichiara: “Disprezzo i neo borbonici”

Cari neoborbonici, di qualsiasi gradazione siete, dai più sfegatati ai più distaccati, fatevi, una ragione, il regista Andò vi odia o meglio vi “disprezza” in blocco.

Come si sa, il disprezzo è legato a un rifiuto sociale nei confronti di una persona che ha delle idee che non approviamo. L’odio è un forte sentimento di avversione nei confronti di qualcuno che nasce però dalla stratificazione di diverse emozioni più personali.

L’apologeta risorgimentale Roberto Andò, saccente e supponente regista del film “L’abbaglio” abbraccia la tesi propagandata dagli stessi invasori, con il quale Garibaldi avrebbe imbrogliato i borbonici sulla sua reale direzione di marcia facendo credere a questi di andare verso l’interno della Sicilia per fare operazioni di guerriglia mentre invece puntava direttamente sulla conquista di Palermo. Finora i maestri di “arronzare” la storia piegandola alla propria visione, concezione oppure semplicemente piegandola alla sensibilità del risultato commerciale, erano i cineasti statunitensi. Oggi questa tendenza dilaga anche oltre oceano, lambendo l’Europa, un poco come l’ideologia woke e la cancel culture.

 Come ho già spiegato in un precedente articolo su questo stesso blog, contrariamente al racconto cinematografico e a quanto raccontano gli sessi protagonisti,  la colonna borbonica guidata da Von Mechel e Beneventano del Bosco, erano consapevoli della divisione in due colonne di marcia. Infatti Von Mechel guidò la sua inseguendo la colonna diretta a Corleone, mentre Beneventano ritornava a Palermo.

Colui che guidò la colonna dei garibaldini unitamente a 150 picciotti forniti dalla mafia locale era il disertore ex ufficiale borbonico Vincenzo Giordano Orsini che aveva disertato nel 1848 quando fu inviato a difendere Palermo contro i contro degli insorti che avevano fondato il regno di Sicilia ed offerto il trono ad Amedeo di Savoia che prudentemente rifiutò. Sconfitti i rivoltosi siciliani, Orsini non trovo meglio che scappare andando ad arruolarsi nell’esercito dell’Impero ottomano che evidentemente riteneva essere più liberale di quello borbonico. Infatti si dice che si fosse addirittura convertito all’ islamismo, il che naturalmente non è un reato ma dà la figura del soggetto. Come colonnello dell’esercito ottomano Orsini, partecipando alla spedizione in Crimea nel 1853/56 dove era presente anche l’esercito sabaudo, entrò in contatto con elementi piemontesi. Infatti si trasferì a Torino, incontrò Garibaldi e prese parte successivamente alla spedizione dei Mille.

Il regista Andò con il suo film riprendendo tutta la retorica agiografica del cosiddetto “Risorgimento”, ha avuto l’onore di essere intervistato il 9 febbraio 2025, dal Corriere della Sera che, pur essendo un giornale ecumenico non disdegna certe ospitate quando sotto sottotraccia attraverso la più subdola e collaudata delle moral suasion, si può rilanciare vecchi cliché anti-sud che pensavamo superati. E infatti Andò li accontenta subito dichiarando lapidario che lui i neoborbonici li disprezza.

Cari borbonici, dovete fartene una ragione, il regista Andò vi disprezza e così ad un abbaglio ne fa un altro, aggiungendo a mo’ di spiegazione/giustificazione di come” i soldati borbonici bruciarono i paesi da Partinico a Torretta per aver “ raccolto i garibaldini feriti con commovente generosità e grande coraggio” Aggiungendo che “le scene delle madri che piangono i figli uccisi nella repressione borbonica sono autentiche. Non a caso i neoborbonici mi detestano. Ma pure io di loro penso il peggiore possibile” quindi siamo pari e patta ma secondo me insomma Andò in questo caso vince per il carico di odio verso i napoletani.

Già una cosa del genere serpeggiava con il film “Partenope” di Sorrentino. Sarà una moda o una nuova corrente di pensiero.

Garibaldi sarà stato pure un manipolatore, furbastro come dice il regista, ma fatto sta è stato strumento inconsapevole che presentandosi come liberatore dei meridionali è finito per imporre un servaggio ed impoverimento inimmaginabili sotto i Borbone. Certo, le stragi sono orribili e inevitabili durante le operazioni belliche ed hanno la riprovazione e la condanna di tutti. Tuttavia Andò sul Regno delle due Sicilie sembra avere poche idee ma confuse. Lo dice uno io che di idee ne ha ancora  di meno e ancora più confuse, ma non sarei così lapidariamente deciso nell’affermare che i borbonici old e neo sono tutti da disprezzare in blocco.

Oltre ai facinorosi che effettivamente si immaginano un’età dell’oro mai esistita, ci sono anche quelli che fanno valutazioni, diciamo così più laiche, meno fideistiche e settarie. Perché agli eccidi che pone in primo piano, sarebbe facile contrapporre sull’altro piatto della bilancia gli eccidi commessi dai “fratelli liberatori” ,  a partire da quello di Bronte quando la rivolta poteva prendere una piega decisamente socialista e antiborghese,  continuare con i massacri di Fenestrelle,  Pontelandolfo, Pietrarsa, tralasciando i 60.000 o addirittura 100.000 massacrati dall’esercito comandato da Cialdini contro i cosiddetti “briganti calabresi”, accomunando indistintamente tutti gli oppositori o i delusi della nuova realtà istituzionale  compresi donne vecchi e bambini.

Ecco , questo è l’unico abbaglio che io riconosco: l’illusione dei meridionali che si sarebbe stato meglio! L’altra amara realtà sta nel fatto che nell’assaltare un regno che sembrava solido, questo alla prova dei fatti crollò come un castello di carte e invece di stare meglio si stette peggio. Ed è in quel periodo che cominciano i fenomeni di emigrazione verso terre lontane, fenomeno che a tutt’oggi non risparmia i meridionali, specie i più acculturati che dovrebbero costituire il nucleo della prossima classe dirigente. Per rendere legali i massacri da parte dei fratelli liberatori, fu varata addirittura un’apposita legge, la   Legge Pica-Peruzzi, Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette ” promulgata il 15 agosto 1863, la prima legge di pubblica sicurezza dello Stato italiano che istituiva tribunali militari per il Sud e che permetteva la brutale repressione nel sangue meridionale, ad libitum, cioè con piena discrezione dei piemontesi e accoliti in buona o cattiva fede.

Gli effetti di questa legge furono devastanti per il Sud per una giovane Italia da poco unita. I provvedimenti punitivi e le sommarie condanne a morte consequenziali alla sua promulgazione rappresentarono uno dei più feroci atti di repressione della dignità della persona umana in Europa. Ma allora non c’era La CPI ( Corte penale internazionale). E veniamo brevemente ai più rilevanti massacri pre e post unitari.

La sommossa di Partinico

Ancor prima dello sbarco garibaldino, nell’aprile del 1860 a Partinico posta a circa 50 km da Palermo, erano avvenuti scontri tra rivoltosi siciliani e truppe borboniche. I rivoltosi, guidati dal barone Sant’Anna, assalirono i borbonici, il cui comandante, Ferdinando Beneventano del Bosco, contrattaccò respingendoli.

Dopo la battaglia di Calatafimi, la sera del 15 maggio 1860 le truppe napoletane si misero in marcia per raggiungere Palermo.

La ritirata avvenne in modo disordinato lasciando i battaglioni senza viveri. Ciò spinse i militari a usare il solito mezzo delle requisizioni forzate.

La notizia della sconfitta borbonica si diffuse rapidamente accompagnata da mirabolanti particolari che dipingevano i garibaldini come esseri sovrannaturali e invincibili, fomentando il sentimento di rivolta nella popolazione siciliana.

La sera del 16 maggio, una formazione borbonica giunse a Partinico,   dove le notizie della battaglia aveva elettrizzato gli abitanti ancora in armi per la precedente rivolta.

Quando i borbonici giunsero nella cittadina, furono accolti da una intensa fucileria dalle case innestando l’ovvia reazione dei soldati che ebbero la meglio, ma poi stanchi della ritirata non resistettero al contrattacco dei siciliani e scapparono lasciando nelle mani degli insorti un’ambulanza e diversi feriti e soldati della retroguardia .

 Come riporta Wikipedia, non certamente accusabile di essere neoborbonica, i partinicesi, inebriati dalla vittoria, si abbandonarono a orrendi atti di ferocia, uccidendo i soldati napoletani  caduti in loro mano e poi “straziandone i corpi in una sorta di primitivo rito tribale” (cfr Wikipedia), gettando molti cadaveri a bruciare nel fuoco delle loro case incendiate. Il bilancio fu di 40 soldati trucidati e 15 prigionieri da consegnare come trofeo ai garibaldini.

Bronte

A Bronte, in Sicilia, scoppiò un’insurrezione popolare contro la borghesia locale. La popolazione, insorta il 2 agosto1860, perché non venivano distribuite le terre come aveva promesso Garibaldi, diede fuoco a decine di case, al teatro e all’archivio comunale, uccidendo sedici persone.

Garibaldi, temendo che l’esempio di Bronte potesse scatenare altre ribellioni, inviò le sue truppe al comando di Nino Bixio. Questi arrestò i presunti colpevoli e li processò sommariamente, condannando a morte cinque uomini, che furono fucilati il 10 agosto.

Pontelandolfo e Casalduni

L’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni (Benevento) fu una rappresaglia dal neo Governo di Vittorio Emanuele II effettuata il 14 agosto 1861,per vendicarsi di un attacco di “briganti”, così come venivano indistintamente chiamati coloro rimasti fedeli ai borbonici. Circa cinquemila abitanti furono trucidati. Fu la prima vera strage impunita dell’Italia unita; come inizio di una sorta di pulizia etnica sulle popolazioni meridionali.

i cittadini vennero sorpresi nel sonno. Le abitazioni furono incendiate con le persone  all’interno. In alcuni casi, i bersaglieri spararono su chi scappava dalle fiamme con le braccia alzate. Gli uomini superstiti furono fucilati mentre le donne (nonostante l’ordine di risparmiarle) furono sottoposte a sevizie o stuprate come riferisce Carlo Margolfo, un soldato che partecipò alla spedizione.

Al termine dell’azione il colonnello Negri telegrafò a Cialdini:

«Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora

La Fortezza di Fenestrelle

I “massacri di Fenestrelle”: qualcuno li mette ancora in dubbio. Dopo l’unificazione d’Italia negli anni ’60 dell’Ottocento, migliaia di meridionali furono deportati alla fortezza di Fenestrelle, in Piemonte, e sottoposti a condizioni dure, inclusa la morte. Alcune fonti ipotizzano, ma i fatti non sono accertati che molti furono uccisi e gettati in vasche di calce viva.

Le fonti che sostengono l’esistenza del massacro di Fenestrelle includono principalmente articoli e libri di autori come Fulvio Izzo, Gigi Di Fiore, e Pino Aprile.

Queste affermazioni sono contestate da altri storici  come Alessandro Barbero, Juri Bossuto, che sostengono che il numero di vittime è stato esagerato. Quindi non ammettono la quantità, ma l’esistenza del fatto si!

Pietrarsa

Il “massacro di Pietrarsa” avvenne il “6 agosto 1863”, nell’omonima fabbrica metalmeccanica fra Napoli e San Giorgio a Cremano. Fu un evento tragico in cui i bersaglieri aprirono il fuoco sui lavoratori in sciopero presso le officine di Pietrarsa da cui era uscito il primo treno italiano Napoli- Portici. I lavoratori protestavano contro le cattive condizioni di lavoro e i salari non pagati e avevano aperto i cancelli ai soldati pensando che venissero in loro aiuto. Invece si soldati entrarono sparando sugli scioperanti. Ufficialmente furono uccisi solo quattro lavoratori  e altri diciassette rimasero feriti. Questo incidente è considerato uno dei primi grandi conflitti sindacali nella storia d’Italia e ha evidenziato le dure realtà affrontate dai lavoratori napoletani nel periodo post unitario

Il Riscatto baronale di Torre del Greco

Le feste sono la celebrazione di un evento eccezionale per mantenerne vivo il ricordo. Col tempo i fatti sfumano, assumono dimensioni diverse, tutto si sposta sull’aspetto ludico, quando addirittura non vengono soppresse.

Ecco perché è stato un fatte rilevante questa festa. Mentre tutti gli altri popoli vanno alla ricerca delle loro radici, noi invece le vogliamo cancellare. E’ vero che le motivazioni sono tante, ma non tutte plausibili.

Sicuramente tutti quanti abbiamo se non letto, almeno visto al cinema o in televisione i Promessi Sposi, quindi si ha un’idea dell’ambiente, dei costumi, come spadroneggiavano i nobili feudatari. Insomma, le figure di Don Rodrigo e dei suoi “bravi”, degli stenti del popolo ci sono familiari. Siamo nel milleseicento in pieno dominio spagnolo sia a Milano che a Napoli.

Torre del Greco nel 1600 era un feudo, con una forte potenzialità agricola e marittima, ma era strozzata nella sua crescita economica dalla feudalità.

Quando nel 1698 Nicola Maria Carafa, Principe di Stigliano, l’ultimo Capitano di Torre morì senza lasciar eredi, i casali di Torre, Portici, Resina e S. Giorgio a Cremano, passarono al demanio pubblico che il 14 aprile 1698 furono concessi alla contessa Maria Geltrude di Berlips, dama della Regina di Spagna, dietro versamento di una rendita annua di 10.800 ducati che, beninteso, avrebbe recuperato con gli interessi sulle spalle dei torresi.

Ma appena cinque mesi dopo, il 30 settembre del 1698 la Contessa di Berlips vendette il feudo a Mario Loffredo, un nobile spagnolo, Marchese di Monteforte per 106.000 ducati.

Allora i torresi pensarono che fosse giunto il momento di affrancarsi dal gioco feudale ed essere protagonisti del proprio destino. Si scelse la via della trattativa con il vicereame perché era assolutamente escluso che la liberazione potesse avvenire con una ribellione, una sommossa rivoluzionaria, in quanto era ancora vivo il fallimento della rivolta di Masaniello del 1647 soffocata nel sangue e la galera, lasciando tutto peggio di prima.

Così nell’ottobre 1698 i torresi presentarono alla Regia Sommaria, una specie di Mef e Corte dei Conti, una istanza di riscatto visto che il Monteforte non aveva ancora versato i 106.000 ducati pattuiti.

Tutti fecero uno sforzo enorme e nessuno si sottrasse a quello che oggi chiameremmo “impegno civico” per raccogliere la somma dovuta.

E arriviamo al giorno del 18 maggio 1699 giorno dell’udienza della Sommaria.

Michele Vargas il presidenteda inizio alla udienza annunciando il parere favorevole al riscatto. Il marchese si oppone ma non è in grado di versare all’istante il dovuto.

Allora Vargas rivolgendosi ai rappresenti dei casali: E voi avete i ducati? Giovanni Langella, futuro primo cittadino, batte le mani e vengono avanti due coppie di portatori con due bauli, di quelli che vediamo nei film dei pirati, che depongono ai piedi del presidente.

 Questa è la nostra risposta! Ecco i ducati, grida Langella.

Allora Vargas viene in avanti e dichiara Torre del Greco egli altri casali liberi dal baronaggio.

Dai presenti parte una standing ovation, scampanio a festa e qualche fuoco d’artificio.

Finalmente il sogno di riscatto sociale si realizza!

Ancora oggi è ammirabile e stupefacente ripercorrere quanto fu fatto in quel periodo. Torre nonostante il corallo, non stava messa tanto bene: era stata semidistrutta dal Vesuvio nel 1631, scossa dalla rivoluzione nel 1647 e devastata dalla pestilenza nel 1656. Questo ci fa capire quanto fosse profondo il desiderio per la propria indipendenza e di non essere considerati pacchi postali comprati e venduti calpestandone la dignità!

 Pertanto, quest’epopea deve essere di sprone per tutti specie per le giovani generazioni, perché bisogna sempre porsi un obiettivo positivo nella vita, per quanto assurdo e impossibile possa sembrare.

Gaeta, ultimo atto

Presentato a Torre del Greco il giorno 8 giugno 2023 il docu-romanzo sull’assedio di Gaeta.

Alla presenza di un folto e qualificato pubblico”, queste sono le frasi rituali di prammatica che si adoperano in genere per eventi di carattere culturali. Ma stavolta è stato effettivamente così senza alcuna, esagerazione, né agiografica né di routine.
Annunciata da tempo dalla stampa partenopea in particolar modo da “ Tutto è”, “Metropolis” ed altre testate e tivù on line, il giorno 8 giugno scorso presso la libreria Alfabeta di Torre del Greco si è tenuta la presentazione del romanzo storico “Gaeta, ultimo atto” di Camillo Linguella, sociologo del welfare previdenziale e meridionalista, nonché studioso della storia del Sud, in particolare del Regno delle Due Sicilie, che per vicende più o meno note, raccontate in maniera più o meno distorte, comunque fu annesso al Regno di Sardegna con un plebiscito sulla cui legalità pochi giurerebbero.

L’evento è stato magistralmente condotto dal giornalista Aniello Sammarco che ha illustrato i contenuti del libro ed il contesto storico in cui è stato inserito, la difesa a Gaeta di Francesco II nell’ultimo disperato tentativo di salvare il Regno delle Due Sicilie. Prima di dare la parola a Linguella c’è stato un contributo di Carmine Paino titolare della libreria Alfabeta del circuito Mondadori.

Alla manifestazione è intervenuto anche il neo sindaco di Torre del Greco, Luigi Mennella, che senza entrare nel merito specifico del romanzo la lodato l’iniziativa di carattere culturale e ha fatto intendere che lui curerà molto la cultura a Torre del Greco in tutte le sue molteplici manifestazioni.

Il Regno delle due Sicilie era lo Stato territorialmente più esteso, più popoloso e, incredibile ma vero, col il bilancio pubblico attivo. Situazione che cambiò immediatamente dopo l’unificazione: fabbriche delocalizzate al nord, condizioni di vita specie dei lazzari e dei contadini peggiorate, inizio dell’emigrazione.

Torre del Greco vanta ben 12 ville vesuviane alcune delle quali avrebbero bisogno almeno di un po’ di verniciatura. Ed in un paio di queste ville inesistenti che si sviluppa la complessa trama del romanzo storico di Camillo Linguella che ha come centri di azione, da una parte Torre del Greco e dalla parte opposta la fortezza di Gaeta dove si consumò l’ultima resistenza dei soldati duosiciliani.
È un episodio spesso ignorato dalla storiografia ufficiale oppure appena accennato. Ignoto perfino a molti meridionali. Invece fu un riscatto nobile di una dinastia che non aveva saputo cogliere i fermenti nuovi nell’aria. Eppure stranamente i Borbone avevano dato vita al cosiddetto ” illuminismo napoletano” anche se poi si persero per strada.

Il fulcro centrale di questa nuova ideologia è costituita dalla cosiddetta “autonomia differenziata”, un semplice eufemismo linguistico piuttosto usato per dare una aspetto più simpatico a qualcosa per mascherare la volontà di disunire per motivi sostanzialmente edonistici ed egoistici. E invertendo l’ordine dei fattori, i borbonici che nel 1800 volevano stare in pace a casa loro, fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata ( il mar Mediterraneo), oggi i borbonici progressisti, e non è un ossimoro, cioè una contraddizione in termini, ritengono che l’Unità d’Italia sia ancora un valore e che l’autonomia differenziata non può che essere una funesta operazione, sempre a danno del Sud.

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