Il referendum della Russia ed il plebiscito del Regno delle Due Sicilie: Un parallelo storico

il 21 ottobre 1860 mentre a Gaeta ancora si combatteva e le sorti del Regno dei Borboni non ancora decise, il Piemonte indisse in Plebiscito di annessione dove votò il 2% circa della popolazione.

La Storia seppure in maniera diversa, ci presenta a volte degli avvenimenti che pur possedendo enormi analogie, causano reazioni differenti.

Piazza Plebiscito a Napoli

Ciò è dovuto essenzialmente ai contesti in cui si svolgono e che variano continuamente per il mutare delle situazioni geopolitiche.

Ora la Storia offre un altro esempio oltremodo calzante: l’invasione della Russia in Ucraina, rivendicando suoi presunti diritti e l’invasione del regno Sabaudo al Regno delle Due Sicilie, variamente giustificato in questo caso dagli “aedi” risorgimentali. E’ stato il primo esempio di “esportazione” della democrazia con le armi in un paese “autocratico ed incivile che opprimeva i suoi sudditi” che poi sarebbero i Borbone.

Quello che sta succedendo in Ucraina, trattandosi di avvenimenti contemporanei, lo conosciamo bene ed è lampante la violazione dei diritti di uno Stato Sovrano. Oltre ad essere vicini agli assaliti ed esserne coinvolti emotivamente, siamo anche sconvolti per gli effetti collaterali dovuti all’aumento iperbolico del gas ed elettricità che poi si riverberano su tutti gli altri prezzi del nostro vivere quotidiano.

Le cancellerie hanno reagito compatte a quest’invasione, come compatte stanno reagendo di fronte al referendum farsa di fine settembre 2022, convocato per legittimare una brutale annessione. Infatti USA & UE hanno preparato una nuova tranche di sanzioni, la 8^, a uomini e cose della Federazione Russa.

Anche in Italia, 162 anni fa, il 21 ottobre 1860, si è perpetrato qualcosa di simile: L’effettuazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia sabauda.

 Uno Stato, facendosi scudo dietro ideologie di una élite culturale, prevalentemente formata da appartenenti della media ed alta borghesia, decise di “liberare dall’oppressione” un popolo tiranneggiato dal “malgoverno” di un altro Stato che era nientepopolimeno la “negazione di Dio elevata a governo”, come ebbe a dichiarare un politico inglese, come se in quel periodo negli slums di Londra si vivesse meglio che a Napoli, invadendolo.

L’affermazione di lord Gladstone, applaudita da tutti i “benpensanti” a scatola chiusa, veniva dal rappresentante di un paese che si era arricchito con la tratta degli schiavi abolita ufficialmente solo nel 1807, la pirateria sui mari e la Compagnia delle Indie e dal 1800, con l’avvento della rivoluzione industriale, con lo sfruttamento di operai uomini, donne e bambini nelle fabbriche.

Scopo di allora di Albione all’inizio era limitato unicamente ad assecondare la voglia di autonomia della Sicilia che le avrebbe assicurata il monopolio sullo zolfo e il controllo del Canale di Suez i cui lavori erano cominciati nel 1859, alla vigilia della operazione para militare dei “wagner” di allora, conosciuta come l’impresa dei mille.

Il Regno di Sardegna,  per portare a termine l’invasione del Sud, attraversò illegalmente i territori dello Stato della Chiesa, come fece Hitler quando per invadere la Francia, attraversò il territorio del neutrale Belgio.

In verde l’itinerario dell’esercito sabaudo

Napoli, un paese che credeva di essere al sicuro, situato com’era fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata (il Mar Mediterraneo), fu invasa da una potenza straniera  senza nessuna dichiarazione di ostilità.

Nessuno Stato pensò di applicare sanzioni contro il Piemonte che ricevette invece solo applausi, ed i massacri che compì dopo l’annessione contro i cittadini contrari 60.000 persone, comprese donne, vecchi e bambini, fu da tutti benvista se non addirittura incoraggiata.

Qualche anima buona poteva pensare che il regno sabaudo intervenisse in questo modo per dare man forte ai borbonici che erano stati invasi da un gruppo di “patrioti” desiderosi di portare progresso e libertà al sud, cosa che stanno ancora aspettando, ma non fu così.

E mentre il Regno delle Due Sicilie era nella piena pienezza dei suoi poteri in forza del diritto internazionale e a Gaeta ancora si combatteva, il 21 ottobre del 1860 Vittorio Emanuele II organizzò un plebiscito di annessione del Regno di Napoli. Vincendolo perchè in pratica utilizzò gli stessi sistemi intimidatori usati in Ucraina.

Con la differenza che allora i governi non si sdegnarono, né fecero alcunchè, ma si affrettarono a riconoscere immediatamente l’annessione.

Il 3 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II, con una tempistica eccezionale perché avveniva immediatamente il giorno dopo l’epica battaglia del Volturno ( 2 ottobre 1860), entrò ad Ancona per mettersi alla testa delle sue truppe, circa 39.000 uomini, per poter prendere militarmente possesso del Regno delle Due Sicilie e mettere da parte Garibaldi. In quell’occasione ebbe a proclamare solennemente:

Le mie truppe s’avanzano fra voi per affermare l’ordine: io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a rispettare la vostra…”  e avendo deciso l’annessione a prescindere se i napoletani la volessero o no, si dette subito da fare per legalizzare in qualche modo l’illegittima ed illegale invasione di un regno con il quale il Piemonte non aveva mai avuto ufficialmente dissidi né aveva mai dichiarata nessuna ostilità.

Anche questa volta lo strumento utilizzato fu l’indizione dell’ennesimo plebiscito.

La novità, che rendeva ancora di più illegittimo l’utilizzo delle strumento plebiscitario, è che il Regno delle Due Sicilie era quello di un regno legittimo, riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, non c’era stata rivolta di popolo contro il re e quest’ultimo non si era né dimesso né era fuggito col suo patrimonio all’estero ( infatti lo aveva lasciato nel caveau del Banco di Napoli che lo crediate o meno).

Infatti il plebiscito fu indetto mentre si combatteva ancora e inoltre l’esercito napoletano si preparava a vivere alcune delle sue pagine più gloriose nell’Assedio di Gaeta.  Assedio che durò tre mesi mentre i piemontesi pensavano di sgominare i resti dell’esercito duosiciliano alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre 1860.

Il Plebiscito era un istituto del Diritto Romano inteso ad interrogare il popolo per conoscerne la volontà su determinate questioni di interesse generale. Infatti la parola deriva dal latino plebiscitum (plebis scitum) cioè “quello che ha stabilito il popolo”. Esso fu riesumato in Francia da Napoleone III nel 1851 per far convalidare il suo colpo di stato.

Poi il Piemonte se ne servì abbondantemente.

Stupisce la velocità dei tempi e delle procedure previste, se si tiene conto che fu indetto in un momento non solo storicamente in preda alle convulsioni della guerra, ma in un paese con poche strade, pochi telegrafi e scarsa rete ferroviaria. Per tempi così ravvicinati, sarebbe occorso un odierno sistema informatico di quelli utilizzati dai moderni ministeri degli interni. In 2/3 giorni si organizzò tutto.

Il Regno delle Due Sicilie contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena un milione e mezzo circa, ma valse a decretare la sua fine.

Questi i risultati:

Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;

Sicilia: 432.053 si, 667 no!

Da allora il Sud aspetta di tornare ai livelli di vita pre union e la Sicilia che aveva lottato e si era illusa  per l’autonomia, si trovò ad essere ancora più periferica, ora che il nuovo stato comprendeva moltissimi altri territori.

Chi vuole istituire una giornata per la proclamazione del regno dei Savoia, si ricordasse anche del plebiscito

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